La storia di Bebe Vio la conosciamo tutti: Beatrice è una ragazzina di appena 11 anni. Nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Il più grave episodio epidemico di meningite degli ultimi anni in Italia si verifica qualche mese prima in Veneto.
Sono 700 i ragazzi che vivono nella zona di Mogliano. Solo 1 contrarrà l’infezione. Da lì, il calvario degli ospedali, delle protesi, della riabilitazione. Ma noi non siamo qui a raccontare questo, soprattutto perché Bebe odia parlare troppo della sua malattia. Ed il motivo è soltanto uno: non serve a niente.
Vi spieghiamo invece perché i sogni di Bebe possono cambiare il vostro modo di vedere le cose. E possono farlo ora.
Bebe è magnetica. Toglierle gli occhi di dosso mentre ci parla, sempre accompagnata da quel sorriso disarmante, è un impresa. Tranquilli, è tutto perfettamente normale. Bebe infatti comunica un messaggio troppo grande per essere ignorato: fin a quando crediamo nei nostri sogni, l’impossibile è possibile.
“Non si può tirare di fioretto senza pollice, indice e medio. Capirai senza una mano”. Impossibile, le dicevano. Peccato non conoscessero Bebe.
Non sorprendetevi quindi di fronte ai suoi mille progetti, alle attività di sensibilizzazione per la vaccinazione contro la meningite o all’impegno continuo per Art4Sport, l’associazione fondata dai suoi genitori, che sostiene quotidianamente giovani atleti che hanno subito amputazioni nel loro reinserimento nel mondo dello sport.
E non stupitevi neanche se, dopo l’Oro Olimpico, Bebe sia arrivata anche alla Casa Bianca, a tu per tu con Obama, a rappresentare l’Italianità nel mondo. E’ tutto “normale”, appunto. Come lei.
Beatrice ama sognare e vincere, da sempre. La caparbietà è il suo marchio di fabbrica, un tratto distintivo che fa capolino sin da bambina. Beatrice non riesce a stare ferma, e ama fare, fare e fare ancora. Mille obiettivi davanti a sé, la voglia di competere sempre. La mamma la vorrebbe portare a danza, Bebe ci prova per un po’, ma non funziona: “Se non si vince nulla, che partecipo a fare?”.
Poi scopre la scherma, ed è amore a prima vista. E quel fioretto non lo mollerà più, per nessuna ragione.
Il suo sogno è quello di partecipare ad un Olimpiade, e non c’è nulla o nessuno che possa mettersi sulla sua strada senza venire travolto dalla sua energia strabordante. Impossibile non accorgersi di lei. Bebe viene scelta come tedofora per Londra 2012, categoria Futuri Atleti Paralimpici, assaggia l’atmosfera dei Giochi, e capisce che non potrà mai più starne senza: Rio 2016 sarà la sua occasione, e non se la farà sfuggire.
Stoccata dopo stoccata sbaraglia la concorrenza, e si presenta sul palcoscenico del suo sogno più grande, ad un passo dal trionfo Olimpico. E’ qui che le paure ed i fantasmi del passato di solito sanno come presentare il conto. E invece no. Bebe non vacilla, anzi attacca. Perché è la cosa che sa fare meglio.
Dopo Rio, Bebe si ripete. Si allena duramente con un unico obiettivo: Tokyo 2020. Alle Olimpiadi più surreali degli ultimi anni, Bebe si unisce ai successi degli atleti olimpici azzurri e guida i campioni paralimpici.
“Pensavo che lo sport per disabili fosse una schifezza. Invece è una figata. È diverso perché le carrozzine sono bloccate su una pedana, sei davanti alla tua avversaria e non puoi indietreggiare, puoi solo attaccare, e a me piace attaccare!”
Bebe è resiliente. E’ un potere quasi sovrannaturale quello che ti permette di trascorrere 104 giorni in ospedale, dopo aver rischiato di non farcela, e poi tornare alla vita di tutti i giorni come se nulla fosse, anzi più forti di prima, nutrendo un ricordo positivo di quell’esperienza.
“E’ incredibile come tutte le cose brutte le chiudi in un cassetto e dopo un po’ le dimentichi. E’ per questo che se penso al mio periodo in Ospedale mi ricordo solo di cose belle: una gran figata!”.
Uscita dal ricovero, Bebe affronta nuove sfide apparentemente troppo grandi per una ragazzina. Eppure lei le supera tutte, una dopo l’altra, con la naturalezza tipica di chi sa cogliere sempre quello che di positivo la vita ti offre, anche nei momenti più duri.
Bebe torna allo sport e alla sua vita, e non lo fa per non sentirsi diversa. Lo fa per sentirsi di nuovo a casa.

Bebe non si prende mai sul serio. La sua capacità di sorridere sempre e scherzare della propria disabilità è tutti gli effetti l’inizio di un grande cambiamento. E’ la dimostrazione esemplare che essere disabile non significa essere strano, ma normalmente unico. E che affrontare la diversità con un sorriso rappresenta la formula perfetta per esorcizzare il demone della paura, e schivare l’ombra della compassione.
“Quando sono tornata a scuola mi sono subito inserita come se nulla fosse successo, e mi sono divertita un sacco. I miei compagni di classe quando si annoiavano giocavano con le mie mani, a volte mi ritrovavo senza e non sapevo dove fossero finite!”
Lei ama ripetere che la sua è stata tutta fortuna. E non è un caso che la sua canzone preferita sia “Ragazzo Fortunato” di Jovanotti. Perchè le hanno regalato un mondo, e lei a noi pure.
E’ questo l’effetto-Bebe. Ed è così che Bebe cambierà le nostre vite.
Come quella di Bebe, esistono altre storie di successo, racconti motivazionali su persone straordinarie che hanno avuto la forza di credere nei propri sogni e non fermarsi. Persone come Sylvester Stallone, Giannis Antetokounmpo o Gino Strada.